Daioja
Bene, andiamo per gradi e cominciamo per ordine l’analisi dell’argomento principe di questa recensione: il gokin assemblato. Avviamo quindi la nostra disamina dal punto di partenza, e cioè la trasformazione del robot. Da questo punto di vista penso che stiamo parlando di quello che in assoluto è il vero, enorme punto di forza di questo chogokin. La conversione dei 3 mecha separati nelle varie parti del Daioja è qualcosa di sublime ed incredibilmente sorprendente, in particolar modo per la fedeltà all’anime, assolutamente ineccepibile al 1000% . Ed ecco che quasi per incantesimo, proprio come nel cartone, Ace Redder va a comporre torace e testa, Aoider diventa l’addome e le braccia e Cobalter si converte nelle gambe del grande Daioja. Se per soc trasformabili comunque assai validi una delle critiche più frequentemente ricorrenti era lo stravolgimento della reale sequenza di trasformazione (gruppo senza ombra di dubbio capeggiato dal controverso gx-43 Daimos) in questo caso penso che nessuno possa assolutamente eccepire niente. Davvero pazzesco il numero di comparti apribili, parti ribaltabili (carina l’idea del logo sul petto dell’Ace Redder, che riproduce una foglia come quelli sul petto di Aoider e Cobalter, ruotabile per riprodurre il logo del Daioja, che altro non è che il simbolo dell’unione delle 3 suddette foglie) e pannellini girevoli che in più punti arricchiscono il mecha senza il rischio di sfregamenti o graffi (purchè si abbia l’accortezza di seguire alla lettera il libretto di istruzioni) e che sottolineano uno studio più che minuzioso del connubio tra la fedeltà a quanto apprezzato in video ed un risultato estetico accettabile, sia per i 3 mecha scomposti che per il Daioja assemblato. Ovviamente sarebbe stato impossibile, per quest’ultimo, avere proporzioni assolutamente perfette, ecco che si è resa necessaria quindi la dotazione del modello in parti aggiuntive (come già avvenuto per il gx-46) indispensabili per renderne maggiormente proporzionate le fattezze. Tali parti sono costituite da spalle, coprispalle, gambe e superficie posteriore dei piedi. Fate però moltissima attenzione nell’applicazione delle coperture delle gambe, se non le si fanno combaciare perfettamente e si forza, il rischio è di sverniciare le gambe stesse (che non sono altro che le cosce del Cobalter). Bella anche l’unione delle ali dei 3 mecha in una sola grande ala per il Daioja. Disgraziatamente una delle due spalle rosse (le parti ai lati della pettorina per intenderci) mi si è letteralmente spappolata in mano dividendosi in due metà. Niente di grave ed istantaneamente riparabile con una semplice goccia di attack fortunatamente, ma nei vecchi SOC componibili queste cose non succedevano…. Ad ogni modo il risultato finale, di sicuro impatto estetico, è quello di un gigante dell’altezza di 29 cm per un peso, tutto sommato non così scarso, di 835 grammi. Uno dei principali dubbi che inizialmente attanagliava i collezionisti era relativo alla posabilità del modello una volta assemblato, non fosse altro che per l’estrema complessità della trasformazione. Bene, sotto questo punto di vista possiamo ammettere che il gx-61 ha passato la prova con una sufficienza abbondante. Le caviglie, ad attrito, sono estraibili e regolate da uno snodo praticamente analogo a quello già apprezzato nel gx-53 Daitarn 3, un piccolo cilindro localizzato nell’angolo posteriore interno del piede che permette, quando allungato, inclinazioni tutto sommato discrete (in questo caso minori di quelle della caviglia del gx-53 perché limitate dalle coperture delle gambe). Le ginocchia, a scatto, si flettono non oltre i 90 gradi. Per le anche (ad attrito) si deve fare invece un discorso a parte nel senso che presentano escursioni relativamente modeste (discreta abduzione, rotazione longitudinale nulla, estensione e flessione minime) se si lasciano applicati, al momento della trasformazione, i piedi del Cobalter. Se invece, come consigliato nel libretto di istruzioni, si ha l’accortezza di rimuovere questi ultimi, la musica cambia, e di molto, nel senso che l’articolazione finisce per guadagnare moltissimo in abduzione (in teoria il robot arriva a fare la spaccata), leggermente in flessione-estensione e minimamente in rotazione longitudinale anche se la sensazione (a onor del vero non confermata dai fatti) è che il modello possa pagare dazio a questa opzione almeno in termini di stabilità, apparentemente più precaria. La spalla è governata da una articolazione a scatto sia nei movimenti di rotazione (praticabili liberamente a 360 gradi) che in abduzione (estendibile poco oltre i 90 gradi). Le braccia ruotano longitudinalmente a 360 gradi all’attacco con la spalla ed i gomiti, a scatto, sono flessibili a 90 gradi. Le mani di base in dotazione ed alloggiate nei piedi dell’Aoider, sono articolate al polso con uno snodo a sfera ed hanno dita articolate separatamente alla base delle falangi. Sono sostituibili con 3 differenti paia di mani (chiuse a pugno, con palmo aperto e con foro centrale per l’impugnatura delle armi). La testa, articolata al torace con uno snodo a sfera, ha movimenti di rotazione dell’ampiezza di 120 gradi circa, si flette leggermente, non ha estensione ne’ flessione laterale. Nel complesso, concludendo, la posabilità del modello, considerata la complessità della sua trasformazione, non è neanche così male. Ciò che davvero in realtà è snervante (difetto confermato da molti ma non da tutti) è l’instabilità delle parti aggiuntive nei cambi di posa. Nel mio esemplare ogni tentativo di piegatura della caviglia o di abduzione della coscia si accompagna inevitabilmente alla caduta delle coperture delle gambe o a quella della parte posteriore del piede anche se devo sinceramente ammettere che ponendo particolare attenzione a far combaciare bene gli agganci tra la parte anteriore e quella posteriore delle coperture delle gambe la situazione un po’ è migliorata. Anche le spalle aggiuntive non sono decisamente ciò che solitamente viene definito solido come una roccia e non è infrequente che la manipolazione del modello si accompagni alla loro caduta, lo stesso dicasi per gli inserti azzurri sugli avambracci. La stessa pettorina che, come detto, nel mio caso non ha dato problemi di sorta, negli esemplari di altri collezionisti fa un’estrema fatica a starsene in posizione senza cadere. Infine, anche l’aggancio Ace Redder-Aoider non è decisamente ferreo (a differenza della solidissima unione bacino-gambe, sganciabile solo premendo un tasto sulla faccia posteriore della coscia del robot) per cui non è così difficile che armeggiando il chogokin le due parti finiscano per sganciarsi. Un gran peccato per un modello che alla fine, una volta montato, fa comunque la sua bella figura ma che proprio per effetto di queste problematiche trasmette quella forte sensazione di “guadare ma non toccare” che per un Soul of Chogokin suona, innegabilmente, come una sgradita novità. La verniciatura è nella globalità discreta dal momento che il robot eredita dai 3 mecha le parti più “felici” e meglio colorate tenendo invece ben celate quelle più discutibili (tipo molte di quelle plasticacce colorate in pasta cui abbiamo accennato precedentemente…). La dotazione in armi è ampia e soddisfacente: imponente la scimitarra, grande lo scudo, aggressivi i pugnali, affascinante l’arco con relativa freccia (forse la posa migliore che si possa dare al Daioja quella del modello nell’atto di scoccare il colpo), possente la grande lancia ottenibile dalla fusione di parti della spada di Ace Ridder, l’alabarda di Aoider e la mazza chiodata di Cobalter.
Lo stand
In questo caso penso sia giusto fare un piccolo cenno a parte relativamente allo stand espositivo di questo gx-61. Se infatti gli espositori dei precedenti SOC componibili/trasformabili con la verosimile unica eccezione del gx-34 non hanno mai brillato per fantasia e complessità, bisogna ammettere che stavolta Bandai ha fatto le cose per bene. In questo caso l’espositore infatti può essere adoperato in due modalità differenti dal momento che è costituito da due metà incernierate tra loro e quindi alternativamente apribili ad esporre il grande logo del robot per fare da sfondo allo stesso Daioja o richiudibili a libro l’una sull’altra per dare alloggiamento, come vero stand portaccessori, a tutte le mani, le parti aggiuntive e le armi (sia dei mecha scomposti che del Daioja) del modello.
In conclusione
Come avrete potuto intuire il bilancio globale di questo SOC vede un’alternanza di luci e ombre in cui la sensazione finale, ormai comune a praticamente tutti i gx concepiti dal Daitarn in poi, è che se realizzato anche solo 3 anni prima e quindi con materiali di qualità migliore, il modello avrebbe potuto possedere, vista la validità tecnica, tutti i crismi del capolavoro assoluto andando ad affiancare sullo stesso livello qualitativo chogokin come i vari gx-34, 36, 39 e molti altri ancora…..
E ciò che maggiormente scoraggia è vedere le quote a cui mediamente questo gx-61 viene venduto a confronto (complice in parte l’attuale, penalizzantissimo cambio yen-euro) con le cifre spese in passato per i suddetti soggetti. In altre parole i prezzi crescono e la qualità cala. Con questi presupposti diventa estremamente difficile per i collezionisti, continuare a coltivare il loro hobby in un mercato sempre più impazzito. Anche da parte del sottoscritto, alla luce di quanto constatato sinora, diventa difficile fornire indicazioni sull’acquisto. Il modello è indubbiamente buono e fa la sua bella figura, ma ha tanti limiti più che altro legati ai materiali usati che i SOC di un tempo (inutile negarlo), non presentavano. Estremizzando il concetto il consiglio è di concedervi l’acquisto solo se il soggetto piace molto e ci si tiene entro limiti “umani” (massimo 150-160 euro?) con i prezzi, il tutto consapevoli di quanto vi ho sinora riportato. Perfetto, anche questa ultima fatica sul (possibile) ultimo SOC è andata. Mi auguro di potervi ritrovare presto su queste pagine con la recensione del prossimo gx-62 ma ancora oggi tutto tace in tal senso e la serie di chogokin più famosa de pianeta non ha ancora un successore. Auguriamoci che il Tamashii Nations di fine ottobre prossimo possa svelarci confortanti novità, magari preannunciando la realizzazione di qualche soggetto a noi particolarmente caro. Con questo augurio ed incrociando le dita porgo a tutti i pazienti lettori i miei più cordiali saluti, a presto risentirci sulle pagine di JR.